Notte. Probabilmente ora Mauro Ermanno Giovanardi si sentirà come quando ha terminato Il mio stile, il suo nuovo disco: "Stremato, provato, svuotato". Il giorno dopo aver letto le domande ci ha fatto sapere che per finire l'intervista non ha chiuso occhio.
Ha pensato alle risposte di notte. Perché le parole vanno calibrate, specialmente se devono raccontare le canzoni di un album al quale tieni moltissimo, un disco dai toni notturni ma al tempo stesso pieno di luce. Mauro Ermanno Giovanardi ci tiene non solo perché è la sua nuova fatica ma perché contiene i suoi quattro anni di vita passati. Contiene tutto l'amore che gli sta accanto. L'amore, che è una protezione, un conforto, una mano che ti salva dalle tenebre, che è avvolto a lui, in copertina. Il mio stile è un album di canzoni leggere ma profonde, proprio come lo erano certe melodie che partivano dai juke-box dell'Italia del boom economico. È un disco che mutua il titolo da Il tuo stile, uno dei ritratti più intensi, crudi e veri che Léo Ferré abbia fatto di una donna. Delle donne tutte. Quel brano è anche l'unica cover dell'album, nonostante Mauro Ermanno Giovanardi sia un interprete in grado di giocare con la canzone d'autore come pochi altri. Non è un caso che sia arrivato fino a Sanremo e abbia duettato con Patty Pravo nella versione più erotica di Pensiero stupendo mai incisa, insieme a Manuel Agnelli degli Afterhours. E, molto tempo prima, abbia inventato i Carnival of Fools, che da una poesia di Patti Smith (a sua volta coverizzata, insieme a Cristina Donà, in Dancing Barefoot) hanno portato in Italia la new wave e il punk blues ispirato a Nick Cave e, poi, i La Crus insieme a Cesare Malfatti.
Giorno. La mattina successiva, le parole per raccontare Il mio stile c'erano tutte. È a quel punto che Mauro Ermanno Giovanardi è tornato a casa. Non nella sua vera casa ma la sua seconda dimora: lo studio di registrazione. "Sto provando con la band per la presentazione del disco, che sarà il 23 aprile a Lugano. Abbiamo suonato in tre sale diverse: a Monza, a Frequenze, e a Milano al 75 Beat e al Massive Arts", ci fa sapere. Perché per Joe, o Giò, come lo chiamano gli amici, la musica è un pretesto: serve a lasciare un segno, a non far scivolare via, senza traccia, la vita. E la vita, almeno la sua, ha un certo stile.
Quattro anni per un nuovo disco: oltre a pensare ai nuovi brani, ti è successo altro degno di nota?
"Mi sembra di non avere mai lavorato così tanto. Tre, quattro dei brani del nuovo disco erano già provinati alla fine del 2012 e facendo una scelta sicuramente più di cuore che commerciale, visto che posso resistere a tutto ma alle tentazioni no, ho messo in stand by il mio nuovo lavoro per buttarmi a capofitto sull'ultima infatuazione: fare un disco con il Sinfonico Honolulu, l'orchestra di ukulele con cui poi è uscito Maledetto colui che è solo. Un'esperienza bellissima, sia umana che lavorativa, con un tour che ci ha portato a fare una serie di concerti originali e a ottenere la Targa Tenco 2013 come migliori interpreti. Contemporaneamente con Massimo Cotto e Paola Farinetti di Produzioni Fuorivia ho prodotto lo spettacoloChelsea Hotel. Certo, ho nutrito più l'anima che il portafoglio, ma questa è la storia della mia vita. Salire su un palco per fare quello che vuoi esattamente, credo sia un privilegio impagabile".
Maledetto colui che è solo, il disco con l'orchestra di ukulele Sinfonico Honolulu, era un album quasi interamente di cover. Quanto è difficile interpretare le parole altrui?
"Il segreto dei segreti è cantare sempre e comunque brani che ti senti appiccicati addosso, dal primo all'ultimo verso. Che ti devono arrivare allo stomaco. Che ti ci rivedi perfettamente. E se ci sono dei passaggi che non sono in questa direzione, allora molla il brano e cercane un altro. C'è una discografia enorme da cui attingere e con un po' di voglia e di fatica puoi trovare qualcosa dove rispecchiarti per davvero. Solo così poi puoi salire su un palco sereno e dire 'anche questo sono io'".
L'unica cover del disco è Il tuo stile di Léo Ferré. Cosa ti ha colpito tanto di questa canzone?
"Come tutti i pezzi che nella mia vita ho voluto reinterpretare l'ho scelta per il testo. Sempre. Anzi no, a parte Se perdo anche te e Bang Bang che mi servivano più per dare delle coordinate stilistico/musicali/temporali nel disco precedente, Il tuo stile ha una potenza verbale pazzesca. Un fiume in piena di parole. Ce l'avevo nel cassetto da tempo e non mi sentivo ancora pronto per cantarlo, credo. Ho lavorato tanto sull'espressione in questi anni, ma mi sembrava ancora troppo. Poi la versione è venuta e la voglia di mettermi in gioco pure. Credo sia una delle versioni più ispirate che abbia mai messo su delle Riproduzioni Fonomeccaniche, come direbbero i bollettini SIAE".
Léo Ferré si definiva un provocatore. Tempo fa hai detto di essere maturato, di essere diventato un uomo. Hai trovato la definizione di te, oggi?
"La provocazione mi interessa ma molto di più costruire immaginari. Portare per mano l'ascoltatore nella storia che voglio raccontare. Che è fatta di tanti episodi e punti di vista diversi. Io mi sento sempre un artigiano che lavora quotidianamente su se stesso, con un pochino di consapevolezza in più, ma poca. Per mia natura, mi metto sempre e forse troppo in discussione, per cui per ogni canzone da aprire, ogni nuovo lavoro, è come se quasi ripartissi da zero. Questa incertezza mi porta fortunatamente a non sedermi e a non pensare mai a quello che ho fatto finora. Di me direi che mi sento un artigiano molto fortunato perché ha più curiosità che furbizia. Perché davanti a ogni proposta penso sempre, mio malgrado, a quanto di bello posso fare o lasciare, piuttosto che a quanto ci posso guadagnare".
Il tuo stile è anche la canzone che titola il cd. In copertina abbracci una donna, è una foto molto delicata e romantica e sopra si legge Il mio stile. Uno stile molto lontano da quello ruvido e carnale di Ferré.
"Infatti il disco si chiama Il mio stile, non lo stile di Ferré (ride, ndr). Fortuna Iddio che sia molto lontano. Per dirla come nel testo di Quando suono: 'Come tutti al mondo un giorno dovrò dire addio, ma se c'è un segno che posso lasciare, voglio che almeno sia il mio'".
Il disco è dedicato a Ilaria, "la tua vita". Lei è anche la protagonista, insieme a te, della copertina e del servizio fotografica. Quanta influenza ha avuto sui nuovi brani?
"Se il disco suona più disincantato, sereno e meno tormentato del solito, credo perché lei abbia influito e influisca positivamente sulla mia vita. Diciamo che spesso è la mano che mi afferra prima di scomparire nel Maelström della tenebra".
Il tema principale delle tue canzoni è sempre stato l'amore. Cantandolo lo si capisce di più o è un'illusione conoscerlo?
"La questione amorosa è sempre un pretesto narrativo per raccontare altro. Per indagare sui rapporti umani, per raccontare il quotidiano. I diversi punti di vista. Spero si noti la differenza tra un mio pezzo e uno qualsiasi di qualche neomelodico italiano del momento. Giusto per non fare nomi ed essere un gentleman, sempre e comunque".
Il testo di Se c'è un Dio gioca coi doppi sensi, è molto erotico. In tempi in cui tutto viene svenduto, penso a bestseller mediocri come 50 sfumature di grigio, anche questo aspetto dell'amore rischia di diventare vuoto?
"Se c'è un Dio è un divertissement in rima baciata scritto con un amico, Maurizio Baruffaldi, pensato già nel periodo dell'altro disco. Ma non era ancora a fuoco e soprattutto non aveva ancora un immaginario musicale interessante. E quando l'ho trovato la presentai a Fabio Fazio per l'edizione del Festival di Sanremo del 2013, ma forse era troppo anche per lui. Per me poteva essere un passaggio televisivo intrigante, anche un po' grottesco, con un coro gospel, con tutti questi doppi sensi; una sfida, qualcosa di ironico, un po' spinto e molto diverso dal mio solito. Un po' come nel mio primo disco solista, Cuore a nudo, quando musicai una poesia di Tonino Guerra, La figa. 'Un inno alla vita', ero solito presentarla. Un miracolo di scrittura, visto che menziona una quindicina di volte l'organo femminile in questione e tira fuori dei versi bellissimi, dove la volgarità non viene mai sfiorata, neanche di striscio. Ecco, quella è un'opera d'arte".
Più notte di così è una canzone autobiografica? La tua famiglia ti ha incoraggiato a seguire la strada che desideravi?
"'Va bene Mauro, ma un lavoro vero?! Questo mica ti farà campare. E poi, che lavoro è?!', mi diceva mio padre. Anche se non è una canzone autobiografica è un pretesto narrativo per raccontare una storia al contrario. Di un figlio di un artista che, forse per rigetto, decide di prendere una strada più conformista, lontana dai sogni e alle utopie del padre, pensando che la sicurezza stia appunto nell'uniformarsi. Mia madre invece, sin dai primi concerti dei La Crus, appena può mi viene a vedere".
Da Nel centro di Milano mi aspettavo un testo nostalgico, forse legato a ciò che musicalmente un tempo la città è stata: una città vivissima. La Crus, Afterhours, i Ritmo Tribale di Edda, i Casino Royale. Gruppi con una certa irrequietezza dentro. Cosa è rimasto di tutta quell'energia?
"Devi essere magnanima... Stai parlando di almeno 20 anni fa. Da quasi trentenni è fisiologico avere più energia che a cinquanta. A volte le scene si vengono a concretizzare perché c'è un luogo che fa sì che questo possa accadere. E questo luogo è stato il Jungle Sound. Che per una decina d'anni l'ha catalizzata e ha fatto sì che si sviluppassero anche professionalmente alcune realtà. Questa è la verità. Ma erano anche anni in cui tutto questo si poteva fare. Ora siamo ritornati a un punto zero musicalmente".
"Quando suono sono vivo, anche senza te" canti in Quando suono: la musica è davvero una salvezza?
"Per me lo è stata e lo è praticamente sempre. Certo, in qualche occasione il dolore era troppo forte anche per il palco ed è stata durissima finire lo spettacolo e un'unica volta ho dato forfait, ma per il resto è salvifica, sempre. Spazza via i pensieri negativi, il buio, l'ansia e ti rimette in pace col mondo e con te stesso".
Perché hai voluto citare Sant'Agostino in Come esistere anch'io?
"In realtà la citazione giusta è 'rendimi casto, ma non subito'. Mi era piaciuta e l'avevo trascritta tra le mie cose, ma non pensavo di usarla perché al maschile suona un po' vetusta e poco associabile, per me, a una figura maschile moderna; girata al femminile mi sembrava invece più interessante e sicuramente più sincera. Nonostante tutto abbiamo ancora un retaggio culturale che affonda le radici nel Medioevo. Questo mi ha dato lo spunto per girare intorno al testo, che è un'invocazione d'aiuto a Dio in un momento di debolezza, di tentazione. Se Se c'è un Dio essendo un gospel è una preghiera profana, questa sicuramente è sacra".
In Su una lama e in Come esistere anch'io si parla di uomini e donne che non riescono a essere fedeli a un solo amore, che fuggono dalle convenzioni. In che modo la tua musica è anticonvenzionale, fuggendo dagli stereotipi della canzone italiana?
"Spero che in quello che faccio si senta il grande lavoro e la cura su ogni parola, sulla forma canzone, sulla costruzione di immaginari cinematografici precisi, sul far convivere il mio spirito da 'Peter Punk' con la melodia più pura dei crooner, la scelta da sempre di andare a recuperare perle dimenticate nel tempo e dargli nuova vita; cerco la sintesi e l'equilibrio di tutti questi e tanti altri elementi che mi appartengono, in maniera armonica, mai urlata, e soprattutto che questi universi siano sempre e comunque presenti con un sapore deciso. Qualità, sincerità e musicalità a tutti i costi. Non so se questo sia sufficiente per essere anticonvenzionali e non so se sia così importante, quello che di sicuro so è che non posso concepire mai, ma mai, qualcosa che non mi rappresenti per davvero. Per arrivare a questo, la disciplina e il lavoro su ogni particolare è fondamentale. E proprio per questo finisco ogni disco stremato, provato, svuotato, ma se non dovesse essere così vuol dire che non ho fatto il mio dovere fino in fondo. Anche per una questione di etica nei confronti di chi non ha la possibilità di lasciare anche un piccolo segno del proprio passaggio in questa breve vita. Noi che possiamo, abbiamo appunto il dovere etico e morale di provare a farlo. Al 110%, sempre. Poi, mica uno è Mandrake e tutte le ciambelle gli escono col buco...".
A Sanremo, nel 2011, ci sei salito con i La Crus, ovvero insieme a Cesare Malfatti. Avete cantato Io confesso. La band però non esisteva già più. Quanto è stato difficile?
"È stato solo difficile per me quando l'idea 'romantica' proposta da Gianni Morandi non si è concretizzata poi a Sanremo. Il patto era che ogni sera si sarebbe dovuto dire che il pezzo era mio e che ci eravamo riuniti eccezionalmente solo per quei cinque giorni di festival; e che Io confesso coi La Crus non c'entrava niente. A lui piaceva l'idea che noi, nati sul palco del Premio Tenco, chiudessimo la nostra storia all'Ariston. Per il grande pubblico che non è così dentro la musica tutto questo ha creato confusione, che sto ancora pagando: ancora oggi al supermercato mi han fermato dicendomi: 'Ma lei è quello dei La Crus... Che bella la sua canzone al festival, guardi, doveva vincere lei...'. Ma lì per lì, con tutta la tensione che c'era, nostro malgrado ci siamo pure divertiti".
Cosa è rimasto, nella tua musica, e in te, dei La Crus?
"Musicalmente è rimasto poco, a parte riprendere qualche brano e riproporlo in un'altra veste. Non c'è niente di elettronico o non suonato, sia nel disco che in concerto. In me invece è rimasto tantissimo. Abbiamo passato più o meno 18 anni insieme e io sono cresciuto sia professionalmente che come uomo. È inevitabile che mi sia rimasto dentro tanto. È stata un'esperienza totalizzante, sia nel bene che nel male. I grandi amori non meritano mediocrità, per cui ho preferito chiudere l'esperienza piuttosto che trascinarla per abitudine o convenienza".
Con Cesare Malfatti siete rimasti amici?
"Certo che si. Però non ci siamo mai frequentati tantissimo, neanche quando si facevano più di 100 concerti l'anno. Siamo molto diversi, anche se per tanto tempo siamo stati, forse proprio per questo, molto compatibili".
Come sarà Il mio stile in tour?
"La nuova band è davvero potente. Una mina. Stiamo provando proprio in questi giorni e sono contentissimo. Direi che saranno concerti con un piglio un po' più soul e alcuni pezzi vecchi: per amalgamarsi al meglio con quelli nuovi sono stati riarrangiati per l'occasione. Ci sarà molto cinema e dei set molto sexy. I miei ragazzi oltre che essere musicisti bravissimi, sono anche molto cool. E nel rock&roll, come sai, l'attitudine ha sempre un suo perché".
Ha pensato alle risposte di notte. Perché le parole vanno calibrate, specialmente se devono raccontare le canzoni di un album al quale tieni moltissimo, un disco dai toni notturni ma al tempo stesso pieno di luce. Mauro Ermanno Giovanardi ci tiene non solo perché è la sua nuova fatica ma perché contiene i suoi quattro anni di vita passati. Contiene tutto l'amore che gli sta accanto. L'amore, che è una protezione, un conforto, una mano che ti salva dalle tenebre, che è avvolto a lui, in copertina. Il mio stile è un album di canzoni leggere ma profonde, proprio come lo erano certe melodie che partivano dai juke-box dell'Italia del boom economico. È un disco che mutua il titolo da Il tuo stile, uno dei ritratti più intensi, crudi e veri che Léo Ferré abbia fatto di una donna. Delle donne tutte. Quel brano è anche l'unica cover dell'album, nonostante Mauro Ermanno Giovanardi sia un interprete in grado di giocare con la canzone d'autore come pochi altri. Non è un caso che sia arrivato fino a Sanremo e abbia duettato con Patty Pravo nella versione più erotica di Pensiero stupendo mai incisa, insieme a Manuel Agnelli degli Afterhours. E, molto tempo prima, abbia inventato i Carnival of Fools, che da una poesia di Patti Smith (a sua volta coverizzata, insieme a Cristina Donà, in Dancing Barefoot) hanno portato in Italia la new wave e il punk blues ispirato a Nick Cave e, poi, i La Crus insieme a Cesare Malfatti.
Giorno. La mattina successiva, le parole per raccontare Il mio stile c'erano tutte. È a quel punto che Mauro Ermanno Giovanardi è tornato a casa. Non nella sua vera casa ma la sua seconda dimora: lo studio di registrazione. "Sto provando con la band per la presentazione del disco, che sarà il 23 aprile a Lugano. Abbiamo suonato in tre sale diverse: a Monza, a Frequenze, e a Milano al 75 Beat e al Massive Arts", ci fa sapere. Perché per Joe, o Giò, come lo chiamano gli amici, la musica è un pretesto: serve a lasciare un segno, a non far scivolare via, senza traccia, la vita. E la vita, almeno la sua, ha un certo stile.
Video
Ecco il videoclip del brano "Quando suono", dal nuovo album dell'ex cantante dei La Crus, "Il mio stile". La regia è di Emanuele Caruso: il video è ambientato nella Palestra Visconti presso il Circolo Arci Bellezza di Milano, dove Luchino Visconti girò parte delle riprese di "Rocco e i suoi fratelli".
Quattro anni per un nuovo disco: oltre a pensare ai nuovi brani, ti è successo altro degno di nota?
"Mi sembra di non avere mai lavorato così tanto. Tre, quattro dei brani del nuovo disco erano già provinati alla fine del 2012 e facendo una scelta sicuramente più di cuore che commerciale, visto che posso resistere a tutto ma alle tentazioni no, ho messo in stand by il mio nuovo lavoro per buttarmi a capofitto sull'ultima infatuazione: fare un disco con il Sinfonico Honolulu, l'orchestra di ukulele con cui poi è uscito Maledetto colui che è solo. Un'esperienza bellissima, sia umana che lavorativa, con un tour che ci ha portato a fare una serie di concerti originali e a ottenere la Targa Tenco 2013 come migliori interpreti. Contemporaneamente con Massimo Cotto e Paola Farinetti di Produzioni Fuorivia ho prodotto lo spettacoloChelsea Hotel. Certo, ho nutrito più l'anima che il portafoglio, ma questa è la storia della mia vita. Salire su un palco per fare quello che vuoi esattamente, credo sia un privilegio impagabile".
Maledetto colui che è solo, il disco con l'orchestra di ukulele Sinfonico Honolulu, era un album quasi interamente di cover. Quanto è difficile interpretare le parole altrui?
"Il segreto dei segreti è cantare sempre e comunque brani che ti senti appiccicati addosso, dal primo all'ultimo verso. Che ti devono arrivare allo stomaco. Che ti ci rivedi perfettamente. E se ci sono dei passaggi che non sono in questa direzione, allora molla il brano e cercane un altro. C'è una discografia enorme da cui attingere e con un po' di voglia e di fatica puoi trovare qualcosa dove rispecchiarti per davvero. Solo così poi puoi salire su un palco sereno e dire 'anche questo sono io'".
L'unica cover del disco è Il tuo stile di Léo Ferré. Cosa ti ha colpito tanto di questa canzone?
"Come tutti i pezzi che nella mia vita ho voluto reinterpretare l'ho scelta per il testo. Sempre. Anzi no, a parte Se perdo anche te e Bang Bang che mi servivano più per dare delle coordinate stilistico/musicali/temporali nel disco precedente, Il tuo stile ha una potenza verbale pazzesca. Un fiume in piena di parole. Ce l'avevo nel cassetto da tempo e non mi sentivo ancora pronto per cantarlo, credo. Ho lavorato tanto sull'espressione in questi anni, ma mi sembrava ancora troppo. Poi la versione è venuta e la voglia di mettermi in gioco pure. Credo sia una delle versioni più ispirate che abbia mai messo su delle Riproduzioni Fonomeccaniche, come direbbero i bollettini SIAE".
Léo Ferré si definiva un provocatore. Tempo fa hai detto di essere maturato, di essere diventato un uomo. Hai trovato la definizione di te, oggi?
"La provocazione mi interessa ma molto di più costruire immaginari. Portare per mano l'ascoltatore nella storia che voglio raccontare. Che è fatta di tanti episodi e punti di vista diversi. Io mi sento sempre un artigiano che lavora quotidianamente su se stesso, con un pochino di consapevolezza in più, ma poca. Per mia natura, mi metto sempre e forse troppo in discussione, per cui per ogni canzone da aprire, ogni nuovo lavoro, è come se quasi ripartissi da zero. Questa incertezza mi porta fortunatamente a non sedermi e a non pensare mai a quello che ho fatto finora. Di me direi che mi sento un artigiano molto fortunato perché ha più curiosità che furbizia. Perché davanti a ogni proposta penso sempre, mio malgrado, a quanto di bello posso fare o lasciare, piuttosto che a quanto ci posso guadagnare".
Il tuo stile è anche la canzone che titola il cd. In copertina abbracci una donna, è una foto molto delicata e romantica e sopra si legge Il mio stile. Uno stile molto lontano da quello ruvido e carnale di Ferré.
"Infatti il disco si chiama Il mio stile, non lo stile di Ferré (ride, ndr). Fortuna Iddio che sia molto lontano. Per dirla come nel testo di Quando suono: 'Come tutti al mondo un giorno dovrò dire addio, ma se c'è un segno che posso lasciare, voglio che almeno sia il mio'".
Foto
Mauro Ermanno Giovanardi con la sua compagna, Ilaria
Il disco è dedicato a Ilaria, "la tua vita". Lei è anche la protagonista, insieme a te, della copertina e del servizio fotografica. Quanta influenza ha avuto sui nuovi brani?
"Se il disco suona più disincantato, sereno e meno tormentato del solito, credo perché lei abbia influito e influisca positivamente sulla mia vita. Diciamo che spesso è la mano che mi afferra prima di scomparire nel Maelström della tenebra".
Il tema principale delle tue canzoni è sempre stato l'amore. Cantandolo lo si capisce di più o è un'illusione conoscerlo?
"La questione amorosa è sempre un pretesto narrativo per raccontare altro. Per indagare sui rapporti umani, per raccontare il quotidiano. I diversi punti di vista. Spero si noti la differenza tra un mio pezzo e uno qualsiasi di qualche neomelodico italiano del momento. Giusto per non fare nomi ed essere un gentleman, sempre e comunque".
Il testo di Se c'è un Dio gioca coi doppi sensi, è molto erotico. In tempi in cui tutto viene svenduto, penso a bestseller mediocri come 50 sfumature di grigio, anche questo aspetto dell'amore rischia di diventare vuoto?
"Se c'è un Dio è un divertissement in rima baciata scritto con un amico, Maurizio Baruffaldi, pensato già nel periodo dell'altro disco. Ma non era ancora a fuoco e soprattutto non aveva ancora un immaginario musicale interessante. E quando l'ho trovato la presentai a Fabio Fazio per l'edizione del Festival di Sanremo del 2013, ma forse era troppo anche per lui. Per me poteva essere un passaggio televisivo intrigante, anche un po' grottesco, con un coro gospel, con tutti questi doppi sensi; una sfida, qualcosa di ironico, un po' spinto e molto diverso dal mio solito. Un po' come nel mio primo disco solista, Cuore a nudo, quando musicai una poesia di Tonino Guerra, La figa. 'Un inno alla vita', ero solito presentarla. Un miracolo di scrittura, visto che menziona una quindicina di volte l'organo femminile in questione e tira fuori dei versi bellissimi, dove la volgarità non viene mai sfiorata, neanche di striscio. Ecco, quella è un'opera d'arte".
Più notte di così è una canzone autobiografica? La tua famiglia ti ha incoraggiato a seguire la strada che desideravi?
"'Va bene Mauro, ma un lavoro vero?! Questo mica ti farà campare. E poi, che lavoro è?!', mi diceva mio padre. Anche se non è una canzone autobiografica è un pretesto narrativo per raccontare una storia al contrario. Di un figlio di un artista che, forse per rigetto, decide di prendere una strada più conformista, lontana dai sogni e alle utopie del padre, pensando che la sicurezza stia appunto nell'uniformarsi. Mia madre invece, sin dai primi concerti dei La Crus, appena può mi viene a vedere".
Da Nel centro di Milano mi aspettavo un testo nostalgico, forse legato a ciò che musicalmente un tempo la città è stata: una città vivissima. La Crus, Afterhours, i Ritmo Tribale di Edda, i Casino Royale. Gruppi con una certa irrequietezza dentro. Cosa è rimasto di tutta quell'energia?
"Devi essere magnanima... Stai parlando di almeno 20 anni fa. Da quasi trentenni è fisiologico avere più energia che a cinquanta. A volte le scene si vengono a concretizzare perché c'è un luogo che fa sì che questo possa accadere. E questo luogo è stato il Jungle Sound. Che per una decina d'anni l'ha catalizzata e ha fatto sì che si sviluppassero anche professionalmente alcune realtà. Questa è la verità. Ma erano anche anni in cui tutto questo si poteva fare. Ora siamo ritornati a un punto zero musicalmente".
"Quando suono sono vivo, anche senza te" canti in Quando suono: la musica è davvero una salvezza?
"Per me lo è stata e lo è praticamente sempre. Certo, in qualche occasione il dolore era troppo forte anche per il palco ed è stata durissima finire lo spettacolo e un'unica volta ho dato forfait, ma per il resto è salvifica, sempre. Spazza via i pensieri negativi, il buio, l'ansia e ti rimette in pace col mondo e con te stesso".
Perché hai voluto citare Sant'Agostino in Come esistere anch'io?
"In realtà la citazione giusta è 'rendimi casto, ma non subito'. Mi era piaciuta e l'avevo trascritta tra le mie cose, ma non pensavo di usarla perché al maschile suona un po' vetusta e poco associabile, per me, a una figura maschile moderna; girata al femminile mi sembrava invece più interessante e sicuramente più sincera. Nonostante tutto abbiamo ancora un retaggio culturale che affonda le radici nel Medioevo. Questo mi ha dato lo spunto per girare intorno al testo, che è un'invocazione d'aiuto a Dio in un momento di debolezza, di tentazione. Se Se c'è un Dio essendo un gospel è una preghiera profana, questa sicuramente è sacra".
In Su una lama e in Come esistere anch'io si parla di uomini e donne che non riescono a essere fedeli a un solo amore, che fuggono dalle convenzioni. In che modo la tua musica è anticonvenzionale, fuggendo dagli stereotipi della canzone italiana?
"Spero che in quello che faccio si senta il grande lavoro e la cura su ogni parola, sulla forma canzone, sulla costruzione di immaginari cinematografici precisi, sul far convivere il mio spirito da 'Peter Punk' con la melodia più pura dei crooner, la scelta da sempre di andare a recuperare perle dimenticate nel tempo e dargli nuova vita; cerco la sintesi e l'equilibrio di tutti questi e tanti altri elementi che mi appartengono, in maniera armonica, mai urlata, e soprattutto che questi universi siano sempre e comunque presenti con un sapore deciso. Qualità, sincerità e musicalità a tutti i costi. Non so se questo sia sufficiente per essere anticonvenzionali e non so se sia così importante, quello che di sicuro so è che non posso concepire mai, ma mai, qualcosa che non mi rappresenti per davvero. Per arrivare a questo, la disciplina e il lavoro su ogni particolare è fondamentale. E proprio per questo finisco ogni disco stremato, provato, svuotato, ma se non dovesse essere così vuol dire che non ho fatto il mio dovere fino in fondo. Anche per una questione di etica nei confronti di chi non ha la possibilità di lasciare anche un piccolo segno del proprio passaggio in questa breve vita. Noi che possiamo, abbiamo appunto il dovere etico e morale di provare a farlo. Al 110%, sempre. Poi, mica uno è Mandrake e tutte le ciambelle gli escono col buco...".
Foto
I La Crus. Da sinistra, Cesare Malfatti e Mauro Ermanno Giovanardi
A Sanremo, nel 2011, ci sei salito con i La Crus, ovvero insieme a Cesare Malfatti. Avete cantato Io confesso. La band però non esisteva già più. Quanto è stato difficile?
"È stato solo difficile per me quando l'idea 'romantica' proposta da Gianni Morandi non si è concretizzata poi a Sanremo. Il patto era che ogni sera si sarebbe dovuto dire che il pezzo era mio e che ci eravamo riuniti eccezionalmente solo per quei cinque giorni di festival; e che Io confesso coi La Crus non c'entrava niente. A lui piaceva l'idea che noi, nati sul palco del Premio Tenco, chiudessimo la nostra storia all'Ariston. Per il grande pubblico che non è così dentro la musica tutto questo ha creato confusione, che sto ancora pagando: ancora oggi al supermercato mi han fermato dicendomi: 'Ma lei è quello dei La Crus... Che bella la sua canzone al festival, guardi, doveva vincere lei...'. Ma lì per lì, con tutta la tensione che c'era, nostro malgrado ci siamo pure divertiti".
Cosa è rimasto, nella tua musica, e in te, dei La Crus?
"Musicalmente è rimasto poco, a parte riprendere qualche brano e riproporlo in un'altra veste. Non c'è niente di elettronico o non suonato, sia nel disco che in concerto. In me invece è rimasto tantissimo. Abbiamo passato più o meno 18 anni insieme e io sono cresciuto sia professionalmente che come uomo. È inevitabile che mi sia rimasto dentro tanto. È stata un'esperienza totalizzante, sia nel bene che nel male. I grandi amori non meritano mediocrità, per cui ho preferito chiudere l'esperienza piuttosto che trascinarla per abitudine o convenienza".
Con Cesare Malfatti siete rimasti amici?
"Certo che si. Però non ci siamo mai frequentati tantissimo, neanche quando si facevano più di 100 concerti l'anno. Siamo molto diversi, anche se per tanto tempo siamo stati, forse proprio per questo, molto compatibili".
Come sarà Il mio stile in tour?
"La nuova band è davvero potente. Una mina. Stiamo provando proprio in questi giorni e sono contentissimo. Direi che saranno concerti con un piglio un po' più soul e alcuni pezzi vecchi: per amalgamarsi al meglio con quelli nuovi sono stati riarrangiati per l'occasione. Ci sarà molto cinema e dei set molto sexy. I miei ragazzi oltre che essere musicisti bravissimi, sono anche molto cool. E nel rock&roll, come sai, l'attitudine ha sempre un suo perché".
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